Elio, ricordi il bel tempo gentile,
l’amicizia fraterna
che ci univa pel gioco nel cortile
della casa materna?
Eran chiassi, eran salti; un tal nasceva
suon d’allegria crescente,
che alle finestre intorno si vedeva
affacciarsi la gente,
fin quando, muto rimprovero, un lume
nell’interno brillava,
e della sera con le fredde brume
l’ombra nera calava.
Ma spesso tu sedevi pensieroso
al cembalo sonoro;
ed io in un canto udivo il dilettoso
angelico lavoro.
Le tue dita rendevan la canzone
dell’amor, della vita;
e s’accendeva in me la visione
d’una pace infinita.
O uno strano presagio il cor m’empiva
di mestizia profonda.
Ed ecco, sorridendo a noi veniva
una signora bionda,
una bella signora, di cui gli anni
già volgevano a sera;
ch’era buona e severa,
che celava ad ognuno i propri affanni,
ch’era tua madre. Elio, è al tuo cor presente
quella bionda signora?
e nel sonno, o con gli occhi della mente,
la rivedi tu ancora?
Come tutto mutò! Come la vita
diversa oggi m’appare!
Quante immagini care
m’han, via fuggendo, l’alma impaurita!
Quanta dolcezza, quanta ingenua fede
l’han in brev’ora lasciata!
Così spezzarsi, dileguar si vede
nube in cielo rosata.
Pace ha tua madre giù nel cimitero.
Quasi a trarne conforto
a lei va reverente il mio pensiero;
poi tosto a te lo porto;
a te che sconosciute vie all’intorno
empiendo vai di suoni;
nè, fin che al tutto non è spento il giorno,
il cembalo abbandoni.
Oh potessi sedermi a te d’accanto!
Udire quei tranquilli
arpeggi, quelle fughe, quel tuo canto,
quei tuoi limpidi trilli
di rosignolo. Io scorderei di certo
di mia vita l’errore;
ritornerei fanciullo ed inesperto
dell’umano dolore.
Per te il bel tempo rivivrei gentile,
l’amicizia fraterna
che ci univa – ricordi? – nel cortile
della casa materna.
Umberto Saba